Sono i professionisti dell’odio “democratico”. Da sempre si chiamano comunisti
I comunisti pretendono il monopolio dell’insulto
Per loro è un gioco da ragazzi: basta aggiungere l’aggettivo democratico e tutto – fosse anche uno sputo – si nobilita, si depura, si sterilizza. Chiedere per conferma a Lilly Gruber, detta la Rossa per il colore dei capelli e della passione politica. Tutte le sere, dal salotto di Otto e mezzo, predica contro l’odio. Degli altri, s’intende. Il suo, invece, riesce a malapena a trattenerlo. Tracima infatti come un fiume rigonfio appena parla di Salvini e della destra. I comunisti – ex, post e neo – sono fatti così. Ti lisciano non appena intravedono la breccia in cui infilarsi per andare a portare scompiglio tra il nemico di classe. Ora è il turno di Mara Carfagna, per anni brutalizzata dagli stessi che ora la blandiscono come la paladina della riscossa liberale di Forza Italia.
La destra che li sconfigge è fascista. Quella che perde, liberale
Sì, perché dimenticavamo di dirvi che l’altra grande passione dei comunisti – di ieri e di oggi – è quella di definire l’avversario sulla base delle loro convenienze. Se lo battono nelle urne, è moderno, democratico e liberale. Diversamente, è rozzo, razzista e fascista. Inutile rimarcare che in settant’anni di storia repubblicana tutti gli avversari appartenevano alla seconda categoria, salvo poi beatificarli a babbo morto. È accaduto con De Gasperi, sta accadendo con Craxi a accadrà con Berlusconi. È il solito vizietto dei comunisti: amano definirsi progressisti, ma viaggiano con almeno vent’anni di ritardo sulla storia.
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